Petilia Experience: una giornata con i Greco di Tufo di Roberto e Teresa Bruno

Per arrivare ad Altavilla Irpina, bisogna percorrere, da Avellino, l’ex SS 88, detta anche Strada dei Due Principati, che transita su un fianco del Partenio e conduce nel Sannio. La strada è abbastanza ben tenuta, non sembra di percorrere una delle solite disastrate carrozzabili campane. Superata Capriglia Irpina, l’ex SS 88 si inoltra nel territorio altavillese, nella media valle del Sabato. Il nome Altavilla rivela che il piccolo centro irpino è di origine normanna (gli Altavilla erano la dinastia normanna che fondò il Regno di Sicilia; anche Federico II di Svevia era un Altavilla, per parte di madre, in quanto oltre ad essere nipote di Federico Barbarossa, era anche nipote di Ruggero il Normanno).

A un certo punto, dalla statale si prende una stradina interpoderale che conduce all’Azienda Agricola Vitivinicola “Petilia”, produttrice di punta del Greco di Tufo, in un territorio, quello altavillese, che è particolarmente vocato per la coltivazione dell’omonima uva con la quale si produce questo vino.

Appena giunti sul posto, non si ha l’impressione di essere arrivati in un’azienda vitivinicola, ma si ha quella di essere capitati in un agriturismo, di quelli veramente belli e immersi nella natura, un po’ fuori dal mondo. Si capisce di essere in una casa vitivinicola soltanto quando si volge l’occhio alle folte distese di viti che fronteggiano i fabbricati colonici.

Ci accoglie Teresa Bruno, con la sua solarità, che subito provvede a consegnarci nelle mani del fratello Roberto Bruno (Roberto e Teresa sono i titolari dell’azienda), il quale ci porta tra i filari per descrivere le sue uve e i suoi metodi di coltivazione.

Roberto è anche l’enologo e l’agronomo dell’azienda, ma ha l’aria e le sembianze di un artista estroso. Se non avessi già saputo che è lo specialista che presiede alla coltivazione delle uve e alla produzione del vino, sarei stato portato a immaginare che fosse un pittore di murales. E in effetti i suoi quadri naturali sono le vigne di Greco di Tufo, che egli cura con scrupolo, passione e amore per l’ambiente e per il territorio irpino. Le viti della sua azienda agricola dimorano su terreni argillosi, calcarei e solforosi (è un territorio ricco di zolfo autoctono, cioè di zolfo non proveniente da lontane eruzioni vulcaniche, anche da quelle del Vesuvio, che si sarebbe potuto depositare nell’agro altavillese grazie al trasporto dei venti e alla potenza delle emissioni, spiega Roberto), i quali conferiscono un’accentuata mineralità ai vini. Le altitudini, le esposizioni e l’incrocio delle ventilazioni favoriscono una sana maturazione delle uve che conservano sempre un’ottima acidità.
Le vigne dell’Azienda “Petilia” sono dislocate sia in Altavilla che in altre varie località confinanti. Per questo, a quelle della sede centrale di Contrada Pincera, si aggiungono quelle di Chianche, Chianchetelle, Santa Paolina, Campofiorito, Quattro Venti, Arpaise, Montefalcione, per un totale di 30 ettari.

Dopo averci dato l’informazione che lo sconcertante caldo afoso e la siccità di questo settembre 2020 mettono sotto stress le piante e costringono ad anticipare le vendemmie di almeno un mese, Roberto ci accompagna nelle cantine.

L’Azienda “Petilia” predilige le fermentazioni lente e dolci, ovvero quelle trasformazioni non frettolose e non esagitate del mosto in vino, che sono ideali per garantire la conservazione e l’esaltazione degli aromi primari che dalle uve si trasferiscono nella bevanda di Bacco. Per questo esse avvengono nell’acciaio, a temperatura controllata, dove si fa anche l’affinamento dei bianchi prima dell’imbottigliamento. I “tonneaux” (botti piccole, ma più grandi delle “barrique”) della bottaia sono riservate esclusivamente ai rossi.

Roberto è un amante della tradizione e della naturalezza dei vini, e perciò asserisce con convinzione che essi non devono subire troppi trattamenti, specialmente quelli di natura chimica. Ma lui non è un nemico della tecnologia, anche se, dice, a questa, in particolar modo nelle sue versioni più sofisticate, si ricorre troppo spesso, il più delle volte per ubbidire alle mode. E per questo ci tiene a precisare che, secondo la sua esperienza più che trentennale, le innovazioni tecnologiche che hanno veramente apportato vantaggi alla vinificazione sono la pressatura soffice delle uve e la tecnologia del freddo in cantina, che consente il controllo delle fermentazioni e la concentrazione e la conservazione degli aromi naturali originari dell’uva nei vini, che, grazie alle temperature tenute sotto vigilanza, non subiscono le esalazioni dei componenti volatili che formano il bouquet.

Dopo le interessanti descrizioni di Roberto, torniamo da Teresa Bruno che è un’irpina che non ti aspetti, perché è una ragazza bruna, riccioluta e mediterranea.
Teresa ci accompagna nella sala degustazioni dell’azienda e in sequenza ci fa bere, abbinandoli ai manicaretti della casa preparati da mamma Carmelina, i vini di Petilia.

Ovviamente, si inizia e si prosegue con il Greco di Tufo, che è il vino per il quale è vocata l’azienda. Si comincia con quello di Santa Paolina del 2019, al quale seguono il Campofiorito 2019, il Chianche 2018, il Quattro Venti (4 20 sull’etichetta) del 2017 e quello del 2015 e si arriva a un Greco di Tufo, blend di uve di vari vigneti, del 2009. Tutti vini di ottima struttura e personalità, nei quali spiccano gli aromi fruttati, l’equilibrata acidità e la mineralità. Il Quattro Venti 2017 riscuote i maggiori apprezzamenti da parte dei degustatori convenuti. Ma io sono rimasto sorpreso anche dal 2015 e dal 2009, cioè da vini di annate vecchie che, nonostante la vetustà, si sono rivelati freschi e fruttati, benché leggermente mielati, per testimoniare che i Greco di Tufo di questa azienda sono dei bianchi di notevole stoffa e longevità.

Dopo i Greco di Tufo, sono arrivati, per l’assaggio, due Fiano di Avellino, uno del 2019 e un Ape Fiano di Avellino del 2017. Entrambi eccellenti, ma è stato il secondo quello che è piaciuto di più e che ha dimostrato che i fratelli Bruno lavorano egregiamente pure il Fiano, anche se non si trovano nel territorio di questa Docg.
Infine, non poteva mancare un Taurasi. Per questo, Teresa si è prontamente incaricata di stappare il Petilia Taurasi del 2013, il quale si è rivelato intenso, corposo, morbido e piacevole e potrebbe benissimo essere bevuto anche come vino da meditazione e/o da conversazione.

Petilia Experience è stata davvero un bellissimo esercizio di degustazioni e la dimostrazione sul campo che l’enoturismo può regalare, a chi lo pratica, delle sorprese piacevoli e istruttive.

Chi volesse fare la stessa esperienza, prenda contatto con Teresa e con Roberto, andando sul sito dell’azienda:
www.aziendaagricolapetilia.it

 

Pasquale Nusco