Il Graal A Napoli Tra Realta’ E Fantasia
Sabato 29 giugno, presso l’Antisala dei Baroni al Maschio Angioino, la IVI ha organizzato il convegno IL GRAAL TRA STORIA, MITO E PSICOLOGIA. Relatori: Afro de Falco, Clementina Gily, Vittorio Del Tufo, Adolfo Ferraro, Salvatore Forte.
Nonostante il caldo torrido della giornata, un folto pubblico ha gremito la sala a dimostrazione dell’interesse e della curiosità suscitati dal mito del Graal, la coppa dell’ultima cena dove, stando alla leggenda, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo.
Ma cosa esattamente è il Graal e quale motivo lo legherebbe a Napoli e al Maschio Angioino?
Rispondere alla prima domanda è difficile. Seppure da secoli il Graal viene identificato nella coppa dell’ultima cena, in diversi testi medievali che per la prima volta vi fanno accenno esso assume connotazioni diverse.
Si parte da una testa decollata, recata su di un piatto d’oro da un gruppo di ancelle durante una celebrazione sacra, nella quale molti identificano la testa di San Giovanni Battista. In questo caso forte sarebbe il richiamo al misterioso baphometto adorato dai templari. In altri testi il Graal rappresenterebbe invece una pietra, precisamente il diadema posto al centro della fronte di Lucifero e dalla quale si staccò cadendo sulla terra durante la battaglia tra gli angeli del bene contro quelli del male. Per altri ancora il Graal sarebbe la coppa con la quale Gesù celebrò l’ultima cena e in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo quando fu posto in croce.
Come si evince dai diversi aspetti che il Graal assume in svariate trattazioni e tradizioni, è difficile dargli una precisa caratterizzazione.
Tuttavia, grazie alla bravura dei conferenzieri, chiunque abbia seguito con attenzione i loro interventi avrà maturato la convinzione che il Graal, qualunque cosa sia, è intimamente legato alla crescita interiore dell’individuo.
A riguardo fondamentali gli interventi della professoressa Gily e del professor Adolfo Ferrara i quali, citando rispettivamente Bruno e Jung, hanno dimostrato come la ricerca del Graal sia connessa allo sviluppo interiore dell’essere: l’uomo, attraverso il cammino tracciato dai sacri testi e mediante la purezza dei sentimenti, percorrerebbe il “sentiero” in grado di elevarlo dallo stato di animalità a quello di spirituale riconquistando l’originale status divino perso con la cacciata dall’Eden di Adamo ed Eva.
Tale “cammino” sarebbe simboleggiato dagli alchimisti con l’appellativo di Grande Opera.
All’alchima ha fatto esplicitamente riferimento il regista Afro de Falco proiettando delle slide che riproducevano diversi simboli che utilizziamo col pc o coi telefonini, soffermandosi su un simbolo composto da una croce sovrastante una sfera che ufficialmente rappresenta il simbolo della cristianità, ma che in alchimia simboleggia l’antimonio, ovvero il metallo da cui ha inizio l’opera alchemica. Guarda caso tale simbolo compare nel fregio dell’università Federico II, precisamente nella mano sinistra dell’imperatore a dimostrazione (?) che anche lo Stupor Mundi era un iniziato ai Grandi Misteri.
Alla domanda quale rapporto ci sarebbe tra il Maschio Angioino e il Graal, hanno cercato di rispondere il giornalista Vittorio del Tufo e Salvatore Forte con il suo intervento conclusivo.
Da giornalista, studioso e saggista Del Tufo si è “limitato” a delineare l’excursus storico che portò a Napoli gli Aragonesi, precisamente Alfonso d’Aragona il cui ingresso trionfale in città è scolpito sull’arco di trionfo del portale d’ingresso del castello.
Parlando di Alfonso d’Aragona, sia del Tufo che Forte ne hanno evidenziato la magnanimità – non a caso era denominato il Magnanimo – e le capacità amministrative sia economiche che politiche.
Mentre il giornalista ha fondato il proprio intervento sugli eventi storici, Forte è andato al di là della storia ufficiale, proponendo una serie di immagini e versi di epoca rinascimentale appartenenti alla tradizione dei Fedeli d’Amore – un gruppo di poeti devoti all’Amore identificato nella figura femminile, ma che attraverso versi criptati si scambiavano messaggi politici e religiosi in contrasto con le idee ufficiali propugnate dalla chiesa del tempo – dai quali, secondo lui, si evincerebbe che il Graal, almeno per un certo periodo, ebbe la sua sede nella città di Partenope.
A supporto di questa suggestiva ipotesi anche Forte si è avvalso di slide, offrendo al pubblico immagini che a suo parere attesterebbero la presenza del Graal a Napoli per poi essere probabilmente trasferito, poco dopo la metà del XVII secolo, nel monastero di Santa Maria di Poblet quando furono traslate in spagna le spoglie di Alfonso d’Aragona.
A ulteriore sostegno della sua tesi, Forte ha fatto riferimento a un gioco di luce che avverrebbe all’interno della Sala dei Baroni durante il solstizio d’Estate: filtrando attraverso un punto in alto alla sala, il sole proietterebbe sulla parete prospiciente l’immagine di un libro aperto. L’apparizione di questo libro di luce nel momento in cui il sole è al suo apice potrebbe significare che il castello è un libro di pietra sulle cui facciate e mura le sapienti mani degli scalpellini hanno impresso simboli la cui interpretazione è possibile solo agli iniziati. In tal senso il Maschio Angioino si rivelerebbe come una delle tante “dimore filosofali” cui fa riferimento il Fulcanelli in una sua opera dall’omonimo titolo, e che lo scrittore francese Victor Hugo ne IL GOBBO DI NOTRE DAME definisce “libri di pietra” comprensibili solo a chi fosse iniziato ai sacri misteri. Oppure che gli aragonesi, nella fattispecie Alfonso d’Aragona, erano in possesso di una conoscenza di luce, la conoscenza sacra cui si dichiaravano depositari i Fedeli d’Amore, i Templari, i Rosacroce, e in tempi remoti gli antichi egizi e tante altre civiltà del passato che ci hanno lasciato monumentali vestigia dal significato impenetrabile, la cui edificazione sarebbe stata impossibile con i mezzi e conoscenze ufficiali dell’epoca in cui furono erette…
Giochi di luce di questo genere avvengono in diversi templi e cattedrali sparsi per il mondo. Uno è il tempio egizio di Abu Simbel dove durante il solstizio d’estate, a una certa ora, il sole penetra all’interno illuminando la statua del faraone avallandone l’origine solare, e dunque affermandone la natura divina.
Se davvero il Graal abbia un intimo legame con gli aragonesi e la città di Napoli, probabilmente non lo sapremo mai. Di certo il convegno ha aperto nuovi orizzonti di approfondimento per quanti amano studiare la città e i suoi misteri.
Secondo un detto alchemico, “l’alchimista attua la trasmutazione di se stesso mentre opera”. In virtù di ciò, non possiamo escludere che chiunque si ponesse seriamente alla ricerca del legame tra Napoli e il Graal, attraverso lo studio, non riuscirebbe a migliorare se stesso come individuo. Se ciò avvenisse, chiunque subisse questa catarsi potrebbe affermare di avere trovato la pietra filosofale, oppure il Graal, fate voi!
Vincenzo Giarritiello