La canzone senza tempo, un racconto di Clara Cecchi

“Attenzione! Si avvertono i signori viaggiatori che sul binario tre è in partenza il treno per Viareggio.”

L’altoparlante della stazione di Santa Maria Novella a Firenze avvisava ripetutamente i passeggeri di salire in vettura.

La donna arrivò di corsa lungo la banchina, trafelata balzò nel vagone un istante prima che le porte automatiche si chiudessero con un sibilo silenzioso, affannata si buttò sul primo sedile libero e chiuse gli occhi per riprendere il controllo del proprio respiro: finalmente! Non avrebbe più resistito nel caos rovente e afoso della città in piena affluenza estiva, al mare la stavano aspettando e non vedeva l’ora di arrivare.

Ripreso fiato aprì gli occhi e si guardò intorno per un attimo senza particolare interesse, poi tolse dalla borsa lo smartphone, lo accese sulla radio e subito si ritrovò sintonizzata su una stazione di musica italiana: davano canzoni degli anni ’60, tipicamente estive e balneari. Perché no? Era stanca, si aggiustò le cuffie negli orecchi e richiuse gli occhi, rilassandosi.

“Luglio, col bene che ti voglio vedrai non finirà, ya ya yayaaaaa! Luglio mi ha fatto una promessa …”

Quel vecchio motivo, molto in voga all’epoca, le ricordava sua madre che talvolta lo canticchiava e la riportò con la mente alle estati della sua infanzia.

Cullata dalla musica e dal rumore del treno, senza accorgersene si addormentò.

Fu svegliata bruscamente dal controllore che le chiedeva il biglietto:

“Signora, fra poco saremo a Viareggio.”

“Grazie…”balbettò lei ancora intontita.

Raccolse in fretta la borsa, barcollando leggermente si alzò in piedi e si avvicinò all’uscita mentre il treno stava entrando in stazione. Ormai era fermo, ma la porta non si apriva più sola…si bloccò un istante perplessa, subito spintonata da un gruppetto chiassoso e colorato di ragazzi che la superarono, la spalancarono e scesero festanti.

Scese anche lei, guardandosi intorno incerta: era la stessa stazione di sempre, tuttavia sembrava completamente diversa, non avrebbe saputo dire il perché…l’atmosfera, forse, era differente, ma in che cosa? Si sforzava di capire con la ragione ciò che ancora riusciva vagamente a percepire solo d’istinto, ma era sicura che qualcosa non andava come avrebbe dovuto.

Inquieta, s’incamminò a disagio lungo la banchina in direzione dell’uscita e soltanto allora cominciò a notare alcune stranezze: la gente era assurdamente fuori tempo. Ormai ognuno era libero di vestirsi a suo piacere, ma così era davvero anacronistico! Sembrava un revival degli anni ’60: pantaloni a zampa di elefante, camicie ricamate dai colori abbacinanti, gonne zingaresche, collane a profusione e baffi e capelli lunghi…era forse un qualche raduno dell’epoca?

Sempre più confusa d’istinto si voltò a guardare insospettita il treno da cui era appena scesa e rimase scioccata: non era più la stessa vettura su cui era salita, ma una di quelle vecchie che non si usavano più da tempo, grigia, con gli scompartimenti separati e mancava la scritta TRENITALIA, solo una sigla FS, di lato…che diavolo stava succedendo???

Fu presa da un panico improvviso e si mise a correre verso l’uscita, col cuore in gola. E lì lo vide e si bloccò: appeso all’entrata della stazione c’era un grande orologio analogico, segnava le 19.45… ma del 22 luglio 1968!

Tremante e incredula , lei si portò le mani alla bocca per soffocare un grido di sgomento, ma ormai temeva di aver compreso: per qualche inspiegabile, misterioso motivo si era ritrovata improvvisamente indietro nel tempo! Un balzo di quasi cinquant’anni… possibile? Che cosa era successo in quel treno mentre lei dormiva ascoltando quella vecchia canzone?

Stordita e incapace di pensare rimase immobile cercando un’ improbabile via d’uscita: doveva assolutamente ritrovare la calma e riflettere. D’un tratto le venne a mente il cellulare…poteva telefonare a casa ! Frugò speranzosa nella borsa: dov’era il cellulare? Per forza doveva essere lì, forse rappresentava l’unico accesso possibile per tornare al presente, il suo varco temporale…ma non c’era, maledizione!

Rabbiosa continuava a cercare freneticamente, disperata, finché non tirò fuori un piccolo oggetto rettangolare ormai in disuso: esitò, quello non era il suo cellulare… poi riconobbe una vecchia radiolina portatile…la prese esterrefatta, chiedendosi stupita come fosse finita lì. Era di suo padre, la ricordava perfettamente, rossa, con la piccola antenna orientabile e l’ultima volta che l’aveva vista stava riposta in una grossa scatola di cartone, nella soffitta dei suoi genitori.

L’accese con le mani tremanti e subito, nell’aria estiva della stazione affollata di turisti spensierati, si diffusero alte e nitide le note della canzone senza tempo:

“Luglio,col bene che ti voglio vedrai

non finirà, ya ya yayaaaaa! Luglio sarebbe un grosso sbaglio non rivedersi più…ya ya yayaaaaa…”

Smarrita, la donna si rese conto che quella canzone con cui si era addormentata durante il viaggio probabilmente era l’unico

filo sottile che ancora la teneva legata al suo presente: forse, finché fosse riuscita ad ascoltarla e riascoltarla, avrebbe potuto in qualche modo misterioso, al di là della sua capacità logica di comprensione, ricreare la condizione da cui aveva avuto origine tutto ciò, riviverla e finalmente venire fuori da quell’incubo…

Era una speranza molto tenue, ma era anche l’unica e valeva la pena tentare: tirò un respiro profondo per controllare il panico e alzò il volume guardandosi intorno con ansia in attesa di non sapeva cosa, un minimo cambiamento, un qualsiasi segno potesse incoraggiarla a sperare. Fu allora che, terrorizzata, si accorse che la vecchia radiolina cominciava a gracchiare, a fare degli strani fischi, a perdere la sintonia: le pile, chissà da quanti anni mai sostituite, si stavano inesorabilmente scaricando.

Non c’era niente da fare, la musica si andava affievolendo sempre di più e le note della canzone senza tempo, effimere, si stavano disperdendo nell’aria. Impotente e rassegnata lei ne aspettava l’inevitabile fine: non si faceva illusioni, d’istinto sapeva già che ogni possibilità di un suo ritorno al presente da lì a pochi istanti le sarebbe stata preclusa senza scampo. Passato, presente e futuro ormai si erano irrimediabilmente intrecciati.

A meno che…

Un treno fischiò in lontananza…

 

Clara Cecchi