“Cuma”, un racconto di Vincenzo Giarritiello
L’ultima volta che Corrado aveva visitato l’acropoli di Cuma fu all’epoca del liceo. Successivamente, nonostante si fosse ripromesso di recarvisi non appena potesse, gli impegni universitari prima e l’attività di cardiologo poi lo avevano costretto a tenere in naftalina quel proposito.
Spesso la sera, rientrando a casa da un’estenuante giornata di lavoro tra ospedale e ambulatorio, dopo aver cenato con la famiglia informandosi sul come fosse trascorsa la giornata di Alberto e Luca, i suoi figli, e di sua moglie Rosaria funzionaria alla regione, mentre i ragazzi si ritiravano in camera per guardare la tv o giocare alla play station e sua moglie si barricava nello studio davanti al PC per continuare il lavoro d’ufficio, lui si sdraiava sulla comoda poltrona nel soggiorno, immergendosi nella lettura di uno dei tanti saggi sui Campi flegrei che riempivano la libreria di casa. Possedeva l’opera omnia del Maiuri, nonché una sfilza di libri di archeologi e studiosi della “terra ardente”. Spesso alternava a quei testi la lettura di Omero e Virgilio che nelle loro opere ponevano l’ingresso all’Ade, la terra dei morti, proprio nei Campi flegrei. Precisamente Virgilio collocava la discesa agli inferi sul Lago d’Averno. Uno dei passi che prediligeva dell’Eneide era il capitolo VI dove si narrava dell’incontro di Enea con la sibilla. A volte meditando su quei luoghi mitici, adagiandosi nella poltrona con un bicchiere di whisky tra le dita, chiudeva gli occhi sussurrando le parole che Enea proferì quando incontrò la pitonessa, <<Vergine, non sorge davanti alla mente inatteso o nuovo l’aspetto del dolore: l’animo esperto lo prevede ed è pronto ad accoglierlo: ma soltanto di una cosa ti prego: se qui vicina è la soglia di Dite e l’opaca palude donde salgono i gorghi nebulosi di Acheronte, io vorrei scendere giù a rivedere l’immagine cara del mio genitore: insegnami la via, aprimi tu quelle porte sacre. In mezzo alle fiamme fuggendo e sotto mille dardi su le mie spalle lo presi e lo strappai al nemico; lui, compagno al cammino, lui invalido, vecchio, sopportava audace con me tempeste di tutti i mari e i nembi oscuri del cielo; e ch’io venissi supplice a te, ai tuoi penetrali, lui stesso m’impose. Tu, santa, abbi pietà, ti prego, di me e di mio padre: tu certo puoi tutto né fosti invano preposta Ecate ai boschi d’Averno. Se Orfeo poté richiamare dai Mani l’amata fidando nel suono della cetra, se Polluce scambia col fratello la morte, e va tante volte e ritorna per questa via – dovrò ricordare il grande Teseo ed Ercole? – anche il mio sangue deriva da Giove>>.
*************************************************************************************************************L’insolito freddo che quei giorni attanagliava il centro sud aveva scoraggiato i pazienti dal recarsi allo studio. Pertanto, come accadeva solo ad agosto, l’anticamera dello studio era vuota. Più volte nel corso del pomeriggio s’era alzato dalla scrivania per affacciarsi nell’atrio a controllare se qualcuno aspettasse il proprio turno. Sempre incrociava lo sguardo sornione di Monica, la sua assistente alla porta che, seduta dietro alla scrivania, era impegnata a risolvere un cruciverba. <<Penso che ormai non verrà nessuno>> disse fissando l’orologio al polso. <<Il freddo e l’influenza mi stanno regalando un inatteso pomeriggio di riposo. Tu va’ pure, io mi intrattengo ancora una mezz’oretta>>. Fece un cenno di saluto col capo e rientrò nello studio. Si avvicinò alla libreria di fianco alla finestra; lanciò un’occhiata attraverso il vetro del pannello scorrevole ai libri e alle riviste mediche addossate sul ripiano; lo fece scorrere per prendere una vecchia edizione dell’Eneide risalente all’epoca del liceo. Non ebbe il tempo di sedersi che il campanello bussò alla porta. Con il libro nella mano andò ad aprire. <<Buonasera>> lo salutò un uomo di media statura togliendosi il cappello. <<Sono in tempo per una visita?>> domandò, lanciando un’occhiata alle sedie vuote nella stanza. <<Certo, si accomodi pure>> rispose Claudio, spostandosi di lato perché lui entrasse.
<<Si direbbe che il gelo di questi giorni abbia potuto più dei medicinali>> sorrise volgendo lo sguardo sulle sedie vuote, precedendo lo sconosciuto nello studio. <<Si accomodi>> disse, indicando con la mano una delle sedie davanti alla scrivania. A sua volta si sedette di fronte all’uomo, poggiando l’Eneide sul bordo del tavolo. <<E’ la prima volta che la vedo, è mio paziente da poco?>>. Prima di rispondere, l’uomo volse interessato lo sguardo sulle stampe seicentesche alle pareti ritraenti diversi luoghi storici dei Campi flegrei. <<Mi tolga una curiosità>> fece tornando a incrociare lo sguardo di Claudio, <<Tutte queste stampe sono un abbellimento casuale oppure frutto di una scelta mediata dalla passione per quei luoghi?>> <<Una scelta mediata>> rispose tormentandosi il mento tra le dita, fissandolo con curiosità. <<Perché me lo chiede?>> domandò poi, raddrizzandosi nella poltrona girevole. <<Perché anch’io li amo, uno in particolare!>> <<Quale?>> <<L’acropoli di Cuma!>> <<Ma guarda>> sorrise Claudio <<Anch’io sono innamorato di quel posto. Tuttavia ci manco da circa vent’anni, non le sembra un paradosso?>> fece divertito. <<Per niente>> rispose seriamente l’uomo. <<L’acropoli di Cuma non è un comune sito archeologico da visitare quando si vuole. E’ l’acropoli, ovvero lo spirito ctono del luogo, a decidere chi dei tanti visitatori dovrà ritornarci e quando… Fino a che lo spirito dell’acropoli non farà udire la propria voce nessuno sentirà il bisogno di ritornarci!>> Ascoltandolo, Claudio fu colto da un leggero tremore. Per un istante temette di trovarsi al cospetto di un pazzo. Fissando la fredda lucidità che traspirava negli occhi dell’uomo, accantonò l’idea considerandolo un appassionato come lui del mito virgiliano. <<Guardi cosa avevo deciso di leggere poco prima che lei arrivasse>> disse, mostrando l’Eneide all’uomo. Questi sorrise. <<Come vede avevo ragione!>> <<In che senso?>> <<Nel senso che la sibilla la sta chiamando!>> Lo studio cadde in un profondo silenzio. Gli uomini sembravano sfidarsi con gli sguardi. Alla fine Claudio sfuggì quello dell’uomo insolitamente intenso e luminoso. <<Lei chi è?>> chiese aprendo un cassetto, cercandovi il nulla. <<Certo non quello che pensa lei!>> <<Ossia?>> <<Né un pazzo, né un paziente! Se domani mattina sarà così gentile da raggiungermi all’acropoli conoscerà la verità!>> concluse accennando un leggero sorriso.<<Ma domani devo andare in ospedale…>> <<Si prenda un giorno di riposo>> lo interruppe, <<perché non accadrà nulla di così grave da richiedere la sua presenza. L’aspetto domattina a Cuma>> disse. Si alzò, aprì la porta dello studio e sparì.
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Claudio parcheggiò l’auto davanti all’ingresso degli scavi. Prima di aprire lo sportello si alzò il bavero del cappotto per proteggersi dal vento freddo che quella mattina sferzava l’aria rendendo terso il cielo. L’uomo l’attendeva sorbendo un caffè vicino a un furgoncino adibito a chiosco. <<Vuole un caffè>> domandò non appena Claudio lo raggiunse. Infreddolito, lui scosse negativamente il capo. <<Bene, allora possiamo andare>> L’uomo pagò il caffè e varcò il cancello d’ingresso all’acropoli, incamminandosi sul sentiero ghiaioso che introduceva agli scavi. <<Devo fare il biglietto>> fece Claudio accostandosi alla biglietteria. <<Lasci stare. Lei è in mia compagnia, questo è il suo biglietto d’ingresso>> disse l’uomo. Sfiorò con la mano il cappello per salutare i custodi che s’inchinarono al suo cospetto. Non appena entrarono nell’ampio vestibolo scavato nella montagna, l’uomo si fermò voltando il capo verso Claudio. <<Adesso ci troviamo ai confini della realtà. Dietro di noi>> disse indicando il viale che avevano percorso, <<c’è la realtà, o quella che gli uomini presumono tale. Davanti a noi>> fece girandosi in direzione del parco archeologico che si intravedeva sull’altro versante del vestibolo, <<comincia il sogno! Immagino che abbia letto tanto su questo luogo>> Claudio accennò di sì col capo, stringendosi i lembi del cappotto sotto il mento. <<Bene. Dimentichi tutto ciò che ha appreso! Io la condurrò in una realtà diversa. Una realtà che nessuno mai ha avuto il coraggio di divulgare perché a nessuno piace sentirsi etichettato come pazzo. Eppure anticamente i pazzi erano considerati con rispetto perché si pensava fossero prossimi a Dio. Sa che nei tarocchi esiste la carta del matto contrassegnata dal numero zero, perché lo zero geometricamente rappresenta l’insieme, il tutto, il Kaos primordiale? Questo non le dice niente?>> Ascoltandolo Claudio si chiese se non fosse stato meglio lasciare l’uomo alle sue elucubrazione e recarsi dai suoi pazienti. <<Il Kaos precede l’ordine>> riprese l’uomo. <<Se non ci fosse stato il Kaos da quale altro luogo Dio avrebbe potuto trarre la materia per dare forma al creato? Il Kaos non è altro che la pietra grezza su cui la mano divina ha scolpito l’ordine universale! Il Kaos è il marmo di cui dio si è servito per manifestarci la propria artistica potenza!>> Detto ciò, incurante dello stupore di Claudio, l’uomo si diresse verso l’esterno, fermandosi davanti all’ingresso dell’antro della sibilla. Senza spiegarsi il perché, Claudio lo seguì nonostante la ragione gli consigliasse di andare via. Dopo tanto tempo tornò a farsi vincere dall’irrazionale. Prima di accodarsi all’uomo che stava varcando la soglia dell’antro, si fermò ad ammirare il panorama dal terrazzo. In lontananza le onde del mare si svolgevano allegramente sull’infinito litorale, irrorando la spiaggia confinante con la campagna sottostante con spruzzi di schiuma e sale. All’orizzonte si stagliava la sagoma d’Ischia, l’antica Pitecusa da cui anticamente provennero i primi colonizzatori greci di quelle mitiche terre. <<Dall’acqua viene la vita!>> sentenziò l’uomo. Istintivamente Claudio si volse dietro di sé fissando lo sguardo dell’uomo perdersi nell’infinito. <<Il mare è Kaos>> proseguì lo sconosciuto, <<perché in sé contiene tutto. Pensi alle città, ai continenti, ai relitti, alle vite umane celati nei suoi fondali. L’acqua è vita e morte allo stesso tempo! L’acqua è l’anima di Dio!>> Così dicendo si avviò verso l’antro seguito da Claudio ormai in balia della suggestione. <<Fissi la forma trapezoidale con cui gli antichi intagliarono questo cunicolo, non le ricorda la vagina femminile?>> Osservando quanto l’uomo gli suggerì, penetrando con lo sguardo la profondità del cunicolo, Claudio ammise che, effettivamente, l’intaglio nella roccia ricordava la vagina. <<Entrare nell’antro è molto più che penetrare un cunicolo. Entrarvi simboleggia il ritorno al Kaos primordiale; rientrare nel ventre materno che ci ha generati. Avanzare nell’antro significa penetrare il mistero della vita e della morte! Mentre ci inoltriamo nell’anima della montagna, facciamo l’amore con la montagna. La ingravidiamo con i nostri pensieri, lasciandoci ingravidare dal suo mistero. Ecco perché ieri le ho detto che non siamo noi a decidere quando ritornare all’acropoli bensì è l’acropoli a richiamare a sé chi desidera. Se il seme del suo mistero attecchisce in noi allorché la visitiamo per la prima volta, quando il seme germoglierà, l’acropoli ci richiamerà a sé per svelarci il proprio segreto!>> Ipnotizzato, Claudio seguiva l’uomo verso il fondo del camminamento, volgendo lo sguardo tra le ombre, percependo intorno a sé invisibili presenze. L’uomo si fermò nel fondo della sala dove si diceva la sibila profetasse. <<Mai sapremo se davvero qui la sibilla accogliesse quanti si recavano da lei per riceverne un vaticinio. Però se chiudiamo gli occhi e ci lasciamo rapire dal silenzio forse ne percepiamo ancora la voce.>> Quindi chiuse gli occhi imitato da Claudio. Le loro anime furono preda del silenzio. Un soffio leggero accarezzò gli occhi del medico. Quando li riaprì tutto iniziò a sembrargli più chiaro… Accompagnati dall’eco dei loro passi uscirono dalla spelonca. <<Come va?>> chiese l’uomo. <<Benissimo!>> mormorò Claudio.
*************************************************************************************************************Mentre salivano la scalinata che conduceva verso i templi dell’acropoli, l’uomo, che fino a quel momento aveva sempre preceduto Claudio, lo affiancò. <<Usciti purificati dalle tenebre, ora ci incamminiamo verso la luce. Gli antichi avevano compreso che non ci si può innalzare a Dio se prima non ci si è purificati nell’ombra. Del resto la morte non dovrebbe essere il momento in cui l’anima ritorna alla luce? Nei tanti misteri che sono giunti fino a noi, tutti fanno precedere il momento della congiunzione a Dio con quello della discesa agli inferi. La caduta di Adamo e Eva non è altro che l’inizio del cammino che innalzerà l’umanità allo stato divino. Lo stesso Cristo prima di manifestare la propria grandezza patì il calvario e la crocifissione. Certo, il cammino è lungo e tortuoso. Ma non potrebbe essere diversamente tenuto conto che sono pochi coloro in grado in una sola esistenza di morire alla vita umana per risorgere a quella divina!>>
La scalinata terminava a ridosso dell’ampio slargo da cui si dipanava un lungo sentiero. Prima di incamminarsi sulla strada sterrata, l’uomo fece cenno a Claudio di seguirlo verso la terrazza che s’affacciava sul litorale da cui si ammirava il magnifico panorama. <<Guardi che meraviglia>> fece distendendo il braccio, accarezzando idealmente con la mano la campagna che si allargava a ventaglio sotto di sé, il lago di bacoli, monte di Procida, Ischia, il mare infinito frutto emozionale della misteriosa fantasia del Nume. <<In nessun altro luogo al mondo si può ammirare uno spettacolo simile. Queste terre un tempo dovevano essere davvero abitate dagli dei!>> Si volse quindi verso il sentiero e lo percorse affiancato da Claudio fino ai resti di ciò che un tempo era stato il tempio di Apollo edificato da Dedalo. Senza alcuno sforzo apparente, salì sugli enormi blocchi che costituivano i resti del tempio. <<Ora siamo al tempio di Apollo, il dio del sole. Eppure, malgrado ci troviamo nel luogo sacro alla luce, esso è posizionato in condizione d’inferiorità rispetto al tempio di Giove. Perché?>>
<<Perché?>> gli fece eco Claudio salendo a sua volta sui ruderi. <<Il sole è un astro, quindi un atomo di vita così come dovrebbe intendersi ogni uomo. La sua funzione consta nell’illuminare gli uomini affinché proseguano senza intralcio nel loro cammino esistenziale. Contrariamente a quanto molti mitologi e teologi sostengono, il fine dell’uomo non è il raggiungimento della luce bensì la luce è lo strumento donato da dio agli uomini perché procedano senza fallo alla meta. Ma qual è questa meta? Molti si sono arrovellati sull’enigma. Addirittura c’è chi cerca sostegno nella magia per cercare di dare una spiegazione alquanto plausibile, dimostrando quanto siamo ciechi. All’ingresso del tempio di Delfi era scritto “conosci te stesso”… Conoscere se stesso è il fine in vita dell’uomo. Mi dica, lei si conosce?>> fece rivolgendosi a Claudio che lo ascoltava con attenzione. <<Fino a ieri credevo di sì. Ora penso di no!>> Ascoltandolo, l’uomo sorrise. <<Ognuno pensa di conoscere se stesso per quel che vede e vive. Ma come ogni cosa anche la vita ha il rovescio della medaglia. Spesso l’apparenza inganna. Spesso l’apparenza è l’esatto contrario di quel che sembra essere. Perché?>> Tacque in attesa che Claudio rispondesse. Alla fine la risposta la dette da sé, <<Perché nulla che riguarda gli uomini è privo di relatività. L’assoluto concerne solo Dio. Mentre tutto ciò che ci appartiene come uomini, finanche la nostra stessa vita, è mera relatività in quanto tutto è sottomesso alla volontà di Dio. Come uomo ho il diritto di adoperarmi per vivere in maniera consona alla mia volontà, ma vi è un estremo che non potrò mai superare perché se cercassi di farlo contravverrei alla leggi della natura che sono le leggi di Dio. E quindi mi porrei in antagonismo con l’Assoluto senza alcuna speranza di vincere. “Conosci te stesso” era ed è un ammonimento divino affinché gli uomini abbiano l’umiltà di non contrastare la volontà di Dio… Si dice che questo tempio fu costruito da Dedalo sul luogo ove cadde Icaro suo figlio. Perché un padre sentì il bisogno di edificare un tempio al dio causa della morte del suo unico figlio? Perché Icaro non ascoltò l’ammonimento paterno di non avvicinarsi troppo al sole altrimenti le ali di cera si sarebbero liquefatte e lui sarebbe inesorabilmente caduto? Tutto ciò non le suggerisce nulla?>> Claudio continuava a tacere. <<Gli uomini sono nati senza ali>> riprese l’uomo. <<Per cui volare come fanno gli uccelli non gli appartiene. Certo possono mettere delle ali posticce per involarsi incontro a Dio, ma resteranno pur sempre uomini legati al loro destino terreno. La luce è uno strumento posto da Dio al loro servizio. Confondere lo strumento con quello stesso Dio che lo ha creato significa alterare il senso della realtà. La luce serve a illuminare la strada, non è il fine dell’esistenza umana. Dedalo lo comprese, Icaro no e restò vittima della sua stessa curiosità. Si ricordi, esiste un limite insuperabile. Ma per comprenderlo bisogna conoscere se stessi e quindi il coraggio di vivere!>> L’uomo volse il volto al freddo sole. Claudio lo imitò e all’improvviso un piacevole tepore gli si diffuse per il corpo. <<Andiamo, lei ci attende>> fece l’uomo abbandonando i resti del tempio. <<Lei chi?>> chiese lui. Lo sconosciuto sorrise senza rispondere. Lasciandosi alle spalle il tempio di Apollo, i due ripresero a salire il sentiero che diventava sempre più stretto man mano che si avvicinavano alla vetta dell’acropoli su cui sorgeva il tempio di Giove ammantato dalla fitta boscaglia. Quando finalmente furono ai resti del tempio innalzato su uno spiazzo assolato, Claudio si sedette su un muricciolo di pietre antiche. Solo allora, guardandosi intorno, si rese conto che l’uomo non c’era. Si alzò cercando intorno qualche segno della sua presenza. <<Ciao. Finalmente sei arrivato!>> Una voce di donna risuonò alle proprie spalle. Si girò fissando lo sguardo sulla figura femminile che avanzava verso di sé: i lunghi capelli neri le cadevano da un lato; il viso era illuminato da un sorriso raggiante, il naso leggermente adunco ne acuiva la bellezza dei tratti. Vestiva un lungo abito bianco. Si si fermò nella fonte battesimale scavata nel centro del tempio. <<Chi sei?>> domandò Claudio titubante. <<Io sono colei di cui tutti parlano ma che pochi hanno il coraggio di cercare davvero. Io sono la Verità, la Vita!>> Con un lieve movimento delle spalle, la donna fece cadere l’abito al suolo mostrandosi nuda. <<Non c’è verità senza amore!>> sussurrò uscendo dalla fonte, andandogli incontro. Lo afferrò per le mani, lo trasse a sé e lo baciò con passione, accostando il ventre caldo al suo. Senza sapere come Claudio si ritrovò nudo tra le pietre a fare l’amore con lei.
Nell’attimo in cui l’amplesso consegnò alla donna la forza dell’uomo, le loro anime si forgiarono in un’unica grande anima. Il Kaos sparì lasciando posto all’ordine.
*************************************************************************************************************Claudio rientrò a casa in uno stato confusionale. Sul tavolo in cucina, apparecchiato per una sola persona, la cena si era ormai raffreddata. Alzò il piatto che copriva la pasta con i fagioli e ne mangiò due cucchiai. Bevve un bicchiere d’acqua e si recò in bagno per lavarsi i denti. Passando davanti alla camera dei ragazzi, sentì le loro voci litigare per un videogioco. Nello studio sua moglie era intenta a lavorare a computer. Si fermò sulla soglia della porta per salutarla. <<Ciao!>> <<Dove sei stato?>> fece lei continuando digitare. <<T’ho cercato sul cellulare me eri irraggiungibile>>. <<Sono stato in giro>> fece vago. <<La cena è sul tavolo>> <<Non ho fame. Ho un mal di testa incredibile. Me ne vado a letto. Buonanotte.>> <<Buonanotte>>
*************************************************************************************************************L’ultima visita era andata via da più di un’ora, ma Claudio continuava a intrattenersi nello studio. Sprofondato nella poltrona dietro alla scrivania, il mento poggiato sulle dita intrecciate sotto il mento, continuava a fissare le stampe alle pareti, ripensando all’esperienza vissuta il giorno prima. Per quanto si sforzasse per convincersi di aver sognato, rigettava quell’idea. Mentre era alla disperata ricerca di una risposta, il citofono bussò. Si alzò per vedere chi fosse a quell’ora. <<Chi è?>> chiese pigiando il tasto sull’apparecchio alla parete. <<Buonasera, c’è il dottore?>> rispose una voce di donna. <<Sono io. Chi è lei?>> <<Dottore, mi scusi. Non sono una sua paziente. So che l’orario per le visite è passato da tempo. Ma potrei salire un momento?>> <<Terzo piano, scala A>> fece premendo il pulsante d’apertura. Attese la paziente sulla porta aperta. L’ascensore si fermò su pianerottolo. La donna bassa, il volto incorniciato dai capelli leggermente ramati, la linea delle labbra appena accentuata da un live tocco di rossetto uscì dall’ascensore. Indossava un completo di lana a righe bianche e nere. Sotto la giacca risaltava il golf a righe orizzontali, anch’esse bianche e nere. <<Buonasera>> salutò entrando nello studio. Guardandola Claudio restò folgorato dalla lucentezza del suo sorriso e dagli occhi colore del mare. Entrati nello studio, la donna sedette davanti alla scrivania, Claudio si accomodò dall’altro lato. <<Qual è il motivo per cui è venuta da me?>> <<E’ strano>> fece lei prendendo l’astuccio con gli occhiali dalla borsetta. L’aprì e inforcò le lenti sul naso adunco. <<Cosa è strano?>> <<Mentre passavo davanti al suo palazzo ho sentita una forte fitta al cuore. Non so come lo sguardo si è posato sulla targa. Leggendo che nel palazzo c’era un cardiologo ho pensato bene di farmi visitare ma appena l’ho vista l’improvvisa palpitazione mi è passata>> <<Sono contento>> sorrise. <<Vuol saper un’altra cosa?>> fece lei, <<Per carattere sono timida peggio di un coniglio, per questo non porto mai gli occhiali in pubblico. Bene, lei è il primo sconosciuto in presenza del quale non provo imbarazzo a inforcarli>> <<Ci conosciamo?>> domandò Claudio fissandola con un leggero sorriso. <<Non credo…>> <<Eppure ho la sensazione di averla già incontrata>> <<Il mondo è piccolo, potrebbe anche darsi che ci siamo visti da qualche altra parte e non ce ne ricordiamo>> <<Per caso lei è appassionata al mito della sibilla cumana?>> Ascoltandosi porre quella domanda Claudio si vergognò di sé. Inaspettatamente la donna lo fissò turbata. <<Perché me lo chiede? Cosa le lascia presumere che io possa amare il mito virgiliano>> <<Niente, non so cosa mi abbia preso. Mi scusi>> si giustificò lui. <<Non si senta in imbarazzo>> fece lei sorridendo, << Io amo il mito virgiliano, particolarmente la sibilla ma nessuno è a conoscenza di questa mia passione. Proprio ieri mattina sono stata all’acropoli e ho vissuto un’esperienza alquanto strana>> Claudio si drizzo sulla sedia. <<Che tipo di esperienza?>> <<Non so come spiegarmi>> fece lei, <<Mentre ero sul tempio di Giove mi si è avvicinato un uomo alquanto strano, con un enorme cappello, chiedendomi di indossare la veste di lino che teneva piegata sul braccio e poi mi ha messo una lunga parrucca nera sulla testa. Divertita lo lasciai fare, pensando fosse un gioco di ruolo o qualcosa del genere. L’ultima cosa che ricordo è che quando gli chiesi chi fosse lui mi sorrise in maniera strana. Poi non ricordo più nulla! Ma lei come fa a sapere della mia passione per la sibilla se nemmeno mi conosce?>>
Sorridendo, Claudio si alzò, girò intorno alla scrivania portandosi davanti alla donna. <<Posso offrirle un caffè?>> disse offrendole la mano. Lei lo fissò stupita. Poi, sorprendendosi di se stessa rispose <<Volentieri>>.
Vincenzo Giarritiello