Promettente esordio in poesia per Francesco Matteo Pagano con il libro “So(u)litudine”
È appena uscita, per i tipi di Aletti, la raccolta poetica “So(u)litudine” di Francesco Matteo Pagano, giovanissimo poeta, classe 1995, napoletano di nascita (entrambi i genitori sono originari di Napoli), ma vissuto prima a Brindisi e poi, dall’età di tre anni ad oggi, a La Spezia.
Formazione scientifica negli anni delle superiori, Pagano è da due anni soltanto che utilizza in maniera assidua la forma poetica, a cui si è avvicinato gradualmente.
Prima attraverso lo studio di materie umanistiche da autodidatta, poi grazie al percorso universitario in cui è attualmente impegnato. Frequenta infatti la facoltà di Lettere Moderne a Pisa ed è affascinato dalla corrente letteraria del simbolismo.
«In realtà, da bambino scrivevo testi saltuariamente, cioè in alcune particolari ricorrenze, e buttavo frasi su un foglio e le lasciavo lì. Poi ho iniziato a scrivere pensieri e mie elaborazioni personali di ciò che studiavo, come ad esempio alcune riflessioni sull’egoismo e sull’ego, interpretando il pensiero di Nietzsche. È un’attitudine che ho sempre avuto, quella di scrivere le mie suggestioni su un pensiero di un altro autore», ha dichiarato Pagano che, con “So(u)litudine”, dà il via al suo esordio in poesia.
«Ho provato a creare una narrazione in versi, avendo come temi principali l’amore, il doppio, inteso come doppia personalità, come contrapposizione di due pensieri diversi, contrastanti e che combaciano allo stesso tempo: in sintesi, contradditori».
La scelta del titolo è motivata dalla volontà di dare «un’impronta ancora più personale, rimarcando che è mio», e riprende un tatuaggio di Pagano che unisce due parole: soul (anima) e solitudine. Un’anima solitaria, dunque.
«Ho un animo claustrofobico con un intenso desiderio di condividere ma, piuttosto che aprirmi a chi possa non apprezzare il mio mondo interiore, preferisco stare da solo». La sua poesia, che è caratterizzata da “un impeto funesto di emozioni e pensieri”, come l’autore stesso ha dichiarato, facendo trasparire contenuti contradditori, romantici e veri, ha intanto suscitato l’interesse di Cheope, pseudonimo di Alfredo Rapetti Mogol, noto paroliere della musica italiana.
Cheope, sulle orme del padre Giulio Mogol, ha collaborato alla scrittura di grandi successi della musica italiana, come “Il chitarrista” del compianto Ivan Graziani e “Strani amori” di Laura Pasini, ha scritto numerose canzoni per artisti di spicco – tra tutte “Due” e “Battito animale”, entrambe rese celebri da Raf – ed è uno che di parole se ne intende. Per questo, il suo beneplacito alla raccolta fa auspicare un promettente esordio. Così scrive Cheope, nella prefazione del libro da lui stesso redatta: «Francesco Matteo Pagano taglia e scava le parole con il rasoio della verità.
La sua scrittura poetica non dà adito a nessuna ambiguità, non fa sconti è esplicita fino al punto di rottura». Continua Cheope, con parole colme di entusiasmo: «Ogni verso è carico dell’inchiostro della sincerità, è cicatrice e testimone di vita vissuta. Il poeta dà del tu al dolore, lo guarda in faccia, diritto negli occhi, questo non impedisce inattese epifanie di luce radente che ci trasportano in impreviste oasi di pace e inattese struggenti felicità».