Sorpresa: il Pinot Nero è di origine lucana

Quante volte ci siamo abbandonati alla vena esterofila, preferendo i vini stranieri, in particolare quelli francesi, ai vini italiani? E quante volte ci siamo compiaciuti della nostra pronuncia francese, quando abbiamo ordinato uno Chardonnay, un Sirah o un Pinot Nero, anzi un Pinot Noir?

È ora che tutta questa francofilia sia ridimensionata, perché c’è chi avanza la tesi che il Padre di una gran quantità di vitigni sia il Pinot Nero e che tale uva abbia avuto origine in Enotria, la terra dei nostri avi che abbracciava la Lucania, il Cilento e buona parte della Calabria dalla Sila alla Piana di Gioia Tauro.

Il demistificatore del dogma francocentrico applicato al vino e ai vitigni ha un nome e un cognome: Paride Leone, titolare, insieme alla Famiglia Rabasco, della bellissima azienda vitivinicola “Terra dei Re”, che produce Aglianico e Pinot Nero. Tale azienda si trova in Rionero in Vulture, sulla strada che, dal paese di Giustino Fortunato e del brigante Carmine Crocco, sale su per il Vulture e raggiunge i Laghi di Monticchio.

Ma prima di addentrarci nell’argomento, facciamo due considerazioni preliminari di logica e di buon senso.

La prima è che dopo le glaciazioni, la vite selvatica (vitis sylvestris) riapparve e fu domesticata (diventando vitis vinifera) nella zona del Caucaso, tra il Mar Nero e il Mar Caspio, nei pressi (guarda caso) del Monte Ararat.
Ora, se seguiamo il percorso di espansione della vitis vinifera, constatiamo che dal Caucaso essa si propagò in Grecia, dopodiché approdò nel Mezzogiorno d’Italia e solo successivamente, per effetto dei viaggi e dei commerci, raggiunse l’Europa centrale. Tant’è vero che gli storici dell’ampelografia (la scienza che descrive e classifica i vitigni) designano il Caucaso come territorio primario della domesticazione della vite e della produzione del vino, la Grecia come territorio secondario e l’Enotria come territorio terziario. Quindi, poiché il “prima” non può sostituire il “dopo”, risulta ragionevolmente e cronologicamente innegabile che la vite, prima di arrivare nei territori gallici, che potevano essere considerati, tutt’al più, dal punto di vista storico-ampelografico, “quaternari”, fosse passata per il Sud Italia.

Il quale Sud Italia, e veniamo alla seconda considerazione, era denominato, per buona parte, Enotria, nome derivante dal greco “oinos”, che significa, appunto, vino, per la sua vocazione vitivinicola. Perciò, risulta chiaro che gli Enotri, stanziati nel meridione della penisola italica già nell’ XI° secolo a.c., prima ancora che i Galli popolassero la Francia, che avevano la caratteristica di essere abili ed esperti viticultori e produttori di vino, al punto di essere appellati con un nome derivante da quello del nettare di Bacco, allevassero i vitigni primordiali prima ancora che questi si diffondessero nel resto d’Europa.

Ma torniamo a Paride Leone e alle sue tesi, che mi sono state esposte nel corso di un incontro che abbiamo avuto nella mattinata di un sabato piovoso di settembre, nella sua bella cantina “Terra dei Re”.

Fu il compianto fratello enologo, Giuseppe Leone, a (re)impiantare il Pinot Nero sulle pendici del Vulture.
Molti credettero che Giuseppe avesse fatto questa scelta perché le condizioni pedoclimatiche del Vulture, a cominciare dalle altitudini, si prestassero alla coltivazione del vitigno francese. Nello stesso errore, secondo Paride, era caduto anche un antico funzionario della Camera di Commercio di Potenza che, in due mostre enologiche del 1887 e del 1888, aveva presentato due Pinot Neri locali come frutti di un vitigno “straniero” che si era acclimatato in Basilicata.
E invece no: Giuseppe aveva scoperto che già nella statistica del 1811, voluta dall’allora Re di Napoli Gioacchino Murat, e per questo denominata Statistica Murattiana, il Pinot Nero era stato senza alcun dubbio rilevato in Lucania ed era stato censito come uva tipica del territorio.
Per questo è doveroso credere che tale vitigno, in Basilicata, non fosse e non è uno straniero proveniente da Oltralpe.

Ma le ricerche di Paride Leone si sono spinte anche in direzione della genetica e della storia.
Le sue tesi, secondo le quali il Pinot Nero ha origini lucane, si basano su uno studio di tre genetisti della vite: Robinson, Harding e Vouillamoz, i quali sostengono, in un loro testo, che il Pinot Nero fosse il padre dell’Aglianico e, quindi, un vitigno ancestrale dal quale, attraverso gli incroci e gli innesti che praticavano gli agricoltori enotri ed italici, erano nati l’Aglianico stesso e il Sirah, tanto per citare due dei più noti. Sullo studio dei tre genetisti, nel 2008 si basò anche una ricerca italiana, denominata Basivin_Sud, che attestò, anch’essa, l’origine sud-italica del Pinot Nero.

Ma come fece, il Pinot Nero, a raggiungere la Borgogna?
Verso la metà del VI° secolo a.c., i Focei, popolo greco dedito soprattutto ai commerci via mare, fondarono, sulle coste del Cilento, la città di Elea, denominata Velia dai romani. Dal porto di questo centro della Magna Grecia, patria di Parmenide e di Zenone, partivano le merci e le materie prime prelevate nelle zone interne dell’Enotria e raggiungevano gli altri porti del Mediterraneo. Tra questi, anche, e soprattutto, quello di Marsiglia, l’antica Massalìa, la quale fu fondata anch’essa dai Focei (tutt’oggi, i suoi abitanti vengono chiamati “focesi”).
Il porto di Marsiglia, quindi, già a quei tempi, accoglieva le mercanzie provenienti dal Sud Italia, le quali erano rivendute alle popolazioni galliche; e tra queste mercanzie c’erano, sicuramente, anche il vino, le uve e i tralci che provenivano da Enotria. È probabile, quindi, che i primi impianti dell’italico Pinot Nero di allora fossero stati messi a dimora nei pressi della foce del Rodano, per poi risalire, man mano, attraverso i movimenti delle merci, degli uomini e delle materie prime, fino alla Borgogna.

Agli inizi del ‘900, il Pinot Nero scomparve dalla Basilicata, perché fu soppiantato dal suo discendente, l’Aglianico, che dava vini più corposi e potenti e, quindi, più adatti ad essere esportati al nord, dove venivano utilizzati per il taglio dei vini locali.

Oggi, “Terra dei Re” e Paride Leone, si impegnano per recuperare e rilanciare il Pinot Nero in Basilicata, nella Terra del Vulture, a fianco del tradizionale Aglianico, con lo scopo di riportare questo vitigno nella terra originaria e per riproporlo, a buon diritto, come uva da vino tipica della Basilicata. Già da qualche vendemmia, producono due rossi Igt Basilicata con uve di Pinot Nero al 100%, denominati “Calata delle Brecce” e “Vulcano 800 Pinot”, e uno Spumante rosato metodo classico, Pinot Nero 100%, denominato “Vulcano 800”.
Ovviamente, “Terra dei Re” è produttrice anche di Aglianico del Vulture. Con il “Nocte”, Aglianico del Vulture Doc da vendemmia notturna, ha ottenuto i Tre Bicchieri del Gambero Rosso.

Chi volesse ascoltare il racconto sulle origini del Pinot Nero in Enotria e in Lucania direttamente dalla voce di Paride Leone, può andare a trovarlo nella sua azienda vitivinicola “Terra dei Re”.
Per reperire informazioni e recapiti, andare sul sito: http://www.terradeire.com

 

Pasquale Nusco