ArtGarage – Giovanni Ruggiero e le sue Scatole dei Ricordi
Nell’ambito della rassegna FotoArtinGarage in corso all’Art Garage di Pozzuoli, sabato 29 febbraio si è inaugurata la mostra fotografica EX MALO BONUM di Giovanni Ruggiero.
L’esposizione si protrarrà fino al 13 marzo e sarà visitabile dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 22, e il sabato dalle 10 alle 19.30. Per l’occasione abbiamo intervistato l’autore.
Giovanni Ruggiero fotografo per passione o per professione?
Sicuramente per passione. Seppure, avendo fatto il giornalista – sono stato inviato speciale per Avvenire per venticinque anni – la fotografia l’ho utilizzata per corredare i miei servizi. Però è una grande passione che nutro da che ero bambino.
Più che foto, le tue opere sembrano delle sculture…
Sì, effettivamente sono difficili da definire. Penso che la chiave di tutto sia rappresentata dalla frase di sant’Agostino che dà il titolo alla mostra, EX MALO BONUM (da male nasce bene). La trovo molto significativa e, soprattutto, piena di speranza.
La foto è già se stessa un ricordo, perché questa ulteriore necessità di serbare il ricordo in un contenitore ad oc?
Seppure ci siamo conosciuti ora, sono pronto a scommettere che anche tu a casa hai una scatola in cui conservi dei ricordi
Sicuramente.
Cosa potrebbe contenere? Una conchiglia, un fiore secco, un tappo di spumante? Quelli sono i tuoi ricordi, i ricordi di Enzo, che mostrerai ai tuoi amici, alle persone più care. Io invece ho deciso di mostrare i miei a tutti, indistintamente. Tu giustamente dici “la fotografia è già se stessa un ricordo”. Ma non richiede elaborazione mentale nella ricostruzione del ricordo. Ad esempio se prendi una foto del natale del 1982 vedi che all’epoca un tuo parente era vivo, un altro non era ancora nato, un altro mancava perché impegnato altrove. Ma se di quel giorno tu prendi un tappo di spumante con su annotata la data di quando fu stappata la bottiglia, devi ricostruire il ricordo. Bene, la fotografia ti dà il ricordo già confezionato.
Mentre tu il ricordo preferisci confezionarlo…
Sì!
Quindi, poiché le cassette esposte contengono vari personaggi e situazioni, devo desumere che ognuna di quelle cassette contiene un tuo ricordo professionale!?
Non solo della mia attività giornalistica. Ti spiego come nasce la scatola. Essa non è un meccanismo freddo, frutto di un ragionamento strutturato nel tempo. La scatola l’allestisco allorché dentro di me scatta una molla emotiva attivata da una canzone, da un profumo, dal verso di una poesia… Tu hai fatto riferimento al soldatino di carta: io ero stato a Mosca nel febbraio del 91. Avevo trovato un’audiocassetta di un cantautore registrata da privati con su scritte in cirillico. Non conoscendo il cirillico, non ne compresi il significato né lo chiesi. Ciò mi ossessionò. Anni dopo feci la traduzione del nome segnato sulla cassetta e scoprii che si trattava di Bulat Okudžava che è stato un grande cantautore del dissenso sovietico. In quell’attimo mi sono ricordato della Piazza Rossa, dei soldati che la presidiavano e da lì è nata l’opera esposta qui questa sera.
Quando è nata l’idea di realizzare le cassette dei ricordi?
Tra il 1996 e il 1997 mi fu diagnosticata una cirrosi epatica che poteva causarmi un tumore e quindi obbligarmi al trapianto di fegato. Da quel momento, inconsapevolmente, mi sono trovato a creare le cassette in cui serbare i miei ricordi. Fu un periodo per me molto particolare perché ero consapevole che sarei potuto morire da un momento all’altro, perdendo i ricordi, o non avere abbastanza tempo per accumularne altri. E allora, senza che me ne rendessi conto, ho realizzato le cassette. A riguardo scrissi una farse che se vuoi ti leggo.
Certo
Io assemblo i ricordi. Do una forma alle mie emozioni e a quello che è stato perché, in questo modo, restino ancora a rammentarmi una gioia o anche un dolore.
Giovanni sei napoletano?
Sono nato a Casaluce in provincia di Caserta per cui ma mi sento napoletano nel senso di uomo del sud.
Credi che la tua napoletanità possa aver influito affinché maturassi questo pensiero filosofico?
Mi ricordi che una volta un critico, dopo aver visto i miei lavori, affermò, “tu sei napoletano!”. Quindi alla tua domanda rispondo sì.
Oltre a questa mostra presumo ne avrai fatte già altre
Sì: una in spagna, due in Albania con foto albanesi in quanto ho seguito i fatti che si sono svolti in quel paese dal 1991 al 2012. Tra le foto esposte c’è un opera che parla dello sbarco a Bari l’8 agosto del 91 della Vlora con ventimila persone a bordo. Furono giornate terribili, faticose. Tra l’altro mi chiedevo: per scapare in questo modo, queste persone da cosa fuggono? Da qui la mia curiosità di andare in Albania per conoscerla e raccontarla. Successivamente, nel 2006, scoprii che uno degli sbarcati dalla Vlora era Visar Zhiti, tra i più famosi poeti albanesi viventi. Adesso è addetto culturale dell’ambasciata albanese a Washington. All’epoca io lavoravo a Roma e lui era l’addetto culturale all’ambasciata di Roma. Un giorno mi chiamò per dirmi che voleva incontrarmi per salutarmi perché gli era stato conferito un nuovo incarico e doveva lasciare la città. Ci incontrammo e mi regalò alcuni suoi libri in italiano. Mentre in treno rientravo a Napoli, sfogliandone uno lessi una frase che mi fece accapponare la pelle. Si riferiva alle mamme albanesi che, disperate, fissano la nave allontanarsi con i loro figli a bordo lanciando dei fiori in mare. In quell’attimo mi ricordai delle foto che scattai a Bari nel 91 ed ecco che è nata un’altra cassetta di ricordi.
Potremmo dire che la malattia ti ha reso un po’ poeta?
Mi ha aperto nuovi orizzonti, mi ha aiutato a riflettere. Durante la malattia mi capitò di leggere una frase di Franca Romano, un’antropologa, che in quel momento mi dette molto fastidio. Pensai che era facile per lei che non viveva un dramma simile al mio, asserire quando scriveva. Ma poi, dopo aver superato il male, ripensandovi, ammetto che afferma una grande verità: “la malattia non è una colpa da espiare, né tempo perduto, ma un male da guardare in viso, un dolore da cui può nascere il fiore e il frutto, un tempo nel quale, come viandanti o marinai, ci si organizza per riprendere il viaggio. Perché ogni malattia è una strada, un porto, una conquista. La malattia è fantasia. Uno spazio liminale dove incontriamo desideri e paure, li guardiamo in faccia e rinegoziamo il nostro modo d’essere”.
Quindi possiamo dire che la malattia per te ha rappresentato l’inizio di una nuova vita.
Assolutamente sì: ex malo bonum, dal male è nato il bene! Ed è questo il messaggio che voglio lanciare attraverso le mie opere: mai disperare, non sempre la malattia è la fine di tutto. Bisogna sempre sperare in qualcosa di buono!
Vincenzo Giarritiello