Nestore Antonio Sabatano racconta i “Cellai” di Monte di Procida
Vac’ a piglià ‘o vino dint’ ‘o cellaio è una frase che spesso sentiamo ripetere da amici, parenti o conoscenti che posseggono un pezzo di terra nei campi flegrei. Ma cosa sia esattamente il cellaio lo sanno in pochi.
A chiarirci le idee su questa struttura contadina tipica del territorio flegreo ci ha pensato Nestore Antonio Sabatano con il libro I CELLAI DI MONTE DI PROCIDA – ARCHITETTURA RURALE DEI CAMPI FLEGREI edito da AUTORI&EDITORE Monte di Procida che si è presentato a Pozzuoli sabato 30 novembre da LUX IN FABULA nell’ambito della rassegna QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE.
Attivista dell’associazione ARCHEOFLEGREI nata nel 2012 con il fine di denunciare il degrado del patrimonio archeologico flegreo, nel suo libro Sabatano ha censito i cellai sparsi sul territorio di Monte di Procida, cercando di raccontarne la storia. Il volume è corredato da un appendice fotografica di immagine in bianco e nero scattate dall’autore per meglio spiegare il lavoro svolto e illustrare attraverso le foto quali sono le caratteristiche di un cellaio.
Il cellaio nasce nel 1600 a Monte di Procida, molto probabilmente come rifugio per contadini e pescatori visto che quelli più antichi sono stati rinvenuti sul versante della collina che affaccia sul mare, per poi diffondersi a macchia d’olio sull’intero territorio flegreo, venendo adottati dai contadini come luoghi di produzione e conservazione del vino.
La caratteristica dei cellai consisteva nell’essere costruiti in pietra di tufo e con un sistema di areazione particolare che garantiva la stabilità della temperatura all’interno della struttura sia di inverno che d’estate affinché il vino nelle botti non andasse a male a causa degli sbalzi di temperatura.
Il sistema con cui l’acqua piovana, scendendo dal tetto, veniva raccolta e convogliata nelle vasche sottostanti l’edificio si rifaceva a quello adottato dagli antichi romani mediante tubature in cotto incastrate l’una nell’altra a conferma che fino a qualche secolo fa gli uomini avevano l’intelligenza di guardare al passato con occhio critico per coglierne insegnamenti al fine di migliorare se stessi e la loro vita, anziché viverlo come un vincolo restrittivo di cui bisogna assolutamente disfarsi per potere poi fare gli affari propri in barba alla tutela della storia locale e del paesaggio.
Originariamente il cellaio nasce come struttura monocellulare, ampliandosi successivamente in pluricellulare fino ad evolvere nelle masserie contadine. Particolare non trascurabile è rappresentato dai comignoli la cui grandezza affermava la potenza economica del proprietario, una sorta di blasone araldico.
Attualmente in moltissimi casi gli antichi cellai versano in stato di abbandono e degrado a causa dell’assoluta mancanza di cura da parte dei proprietari, spesso dovuta a diatribe familiari inerenti la multiproprietà della struttura. In altri casi alcuni cellai sono stati riammodernati senza seguire alcun criterio urbanistico che ne serbasse l’aspetto storico e tutelasse il paesaggio, a conferma di quanto poco viglino le autorità, nel caso specifico la soprintendenza, nella salvaguardia di un patrimonio architettonico di immenso valore storico e culturale che, se fosse protetto a dovere, potrebbe trasformarsi in attrattiva turistica e quindi in elemento di crescita economica per l’intero territorio e i suoi abitanti. Come avviene ad esempio nel Casentino Toscano dove gli essiccatoi di castagne sono assurti a veri e propri monumenti di cui andare fieri che ogni anno, soprattutto tra fine ottobre e inizi di novembre, attirano migliaia di turisti per la castagnatura, la festa della castagna.
Prossimo appuntamento con QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE sabato 14 dicembre con il giornalista Antonio Cangiano che presenterà il libro IL PIACERE DI DE/SCRIVERE IL TERRITORIO.
Vincenzo Giarritiello