I Sangiovese di Toscana dell’enologo Paolo Caciorgna a Storie di Vini e Vigne

Permettetemi di iniziare questo articolo con una nota di orgoglio meridionalista: il Sangiovese, l’uva più coltivata in Toscana, con la quale si producono i vini più importanti di tale regione, ha un’origine meridionale.

Recenti studi, infatti, hanno ipotizzato che il “genitore1” e il “genitore2”, tanto per usare una terminologia di moda, tanto cara ai mass media e ai salotti radical chic, siano il Ciliegiolo (anch’esso un vitigno di origine meridionale, probabilmente imparentato all’Aglianicone) e il Calabrese Montenuovo, vitigno di origini calabresi ritrovato nei pressi del Lago d’Averno vicino a Pozzuoli, sulla collina di Montenuovo
Del resto, le origini meridionali della quasi totalità delle uve italiane sono del tutto attendibili e giustificabili, perché, come afferma l’esperta curatrice di Storie di Vini e Vigne, la giornalista Marina Alaimo, “i vitigni, in Italia, furono introdotti nelle colonie italiche dai Greci, per cui, necessariamente, ogni uva è transitata, in primis, per la Magna Grecia, cioè per il Sud Italia”.

Ma come capita spesso ai figli, ai nipoti e ai pronipoti dei meridionali, il Sangiovese ha fatto fortuna fuori regione, cioè in Toscana, dove ha trovato l’habitat ideale per esprimere il meglio di sé e per produrre i grandi e aristocratici vini che conosciamo.

Il Sangiovese, insieme alla Barbera, è il vitigno più coltivato d’Italia, specialmente nelle regioni del Centro Italia. Con le sue uve si producono, nel nostro paese, centinaia di vini rossi Doc, Docg, Dop e Igt. È un vitigno molto versatile, per cui si adatta facilmente ai terreni, ai climi e ai territori nei quali viene piantato, ma teme il freddo e l’umidità.
Con il Sangiovese si producono vini popolari, ma si possono produrre anche vini di grande stoffa, come accade in Toscana. Ovviamente, tutto dipende dai cloni, dai terreni, dalle esposizioni climatiche, dalle rese, dalle tecniche di vinificazioni, dalle tradizioni locali e dalle intenzioni di chi produce il vino con il Sangiovese.
Le origini del nome sono sconosciute. Si ipotizza che si chiamasse Sangiovese perché si crede che fosse coltivato, originariamente, nella zona di San Giovanni Valdarno, o perché i suoi frutti cominciano a maturare a fine giugno, nel periodo di San Giovanni Battista. Altre supposizioni fanno risalire il nome a “sangue di Giove”, attribuitogli dai monaci di un monastero di Sant’Arcangelo di Romagna che sorgeva nei pressi di una collina denominata, appunto, Monte Giove. È certo, però, che l’uva Sangiovese fosse già coltivata ai tempi degli etruschi e che il primo a descriverlo, nero su bianco, fu, nel 1590, l’agronomo fiorentino Giovan Vettorio Soderini.

I vini migliori, i più apprezzati e conosciuti a livello internazionale, il Sangiovese li genera in Toscana, dove entra, con le varietà di Sangiovese Grosso, Brunello, Morellino, Prugnolo Gentile, nella produzione dei super-nettari toscani: il Brunello di Montalcino, il Chianti, il Vino Nobile di Montepulciano e il Morellino di Scansano. Naturalmente, in questa regione primeggia anche grazie a una lunga tradizione di vignaioli e di famiglie aristocratiche della Firenze medicea che si dedicavano al vino fin dal Rinascimento e che sono stati, nel corso dei tempi, gli appassionati promotori della cosiddetta “selezione massale”, cioè la cernita dei migliori ceppi delle viti, per produrre le uve e i vini più buoni; a tale selezione, il Sangiovese si presta in maniera egregia e particolare grazie alla sua versatilità e alla sua adattabilità. Ovviamente, contano anche i territori della Toscana, che sono disseminati di colline e terreni sabbiosi, sia di origine vulcanica che di origine marina e fluviale, i quali donano al Sangiovese gli ambienti ideali per attecchire e ottenere i migliori risultati.

Nel corso della serata del 28 novembre u.s., a Storie di Vini e Vigne, la serie di incontri sulla vite e sul vino che si tiene con cadenza mensile presso l’Enosteria Cap’Alice di Mario Lombardi, in Via Bausan a Napoli, ed è ideata e condotta dall’ottima giornalista enogastronomica Marina Alaimo, che ha trasformato tali appuntamenti in veri Seminari Accademici sul Vino, è intervenuto uno dei maggiori protagonisti dell’epopea attuale del Sangiovese: l’enologo toscano Paolo Caciorgna.

Paolo Caciorgna è noto alle cronache mondane anche per essere l’enologo di Andrea Bocelli e di Sting, i quali producono vini da uve Sangiovese nelle loro tenute toscane. Ma è noto pure nella regione Campania, perché è l’enologo delle aziende Benito Ferrara di Tufo e Vestini-Campagnano di Conca della Campania, dove si avvale della collaborazione dell’enologa marcianisana Emilia Tartaglione, suo braccio destro nella nostra regione. E poiché è un professionista incontentabile e di vaste vedute geografiche e ampelografiche, mette la firma anche sotto un vino siciliano, l’ Etna Rosso denominato “N’Anticchia”, che, guarda caso, è a base di Nerello Mascalese che è un’altra uva imparentata al Sangiovese.

Paolo Caciorgna, insieme all’enologo poggibonsese Nicola Berti, ha portato in degustazione, a Storie di Vini e Vigne, cinque super-vini toscani: un Brunello di Montalcino Le Lucere 2015, dell’Azienda San Filippo, che i convenuti alla serata hanno avuto la fortuna di bere in esclusiva, in quanto tale vino è già stato prenotato e venduto tutto all’estero; un Sangiovese Macchie 2016 delle Tenute di Pietro Caciorgna (Pietro Caciorgna è il padre di Paolo); un Morellino di Scansano Roggiano Riserva 2017 dei Vignaioli Morellino di Scansano; un Nobile di Montepulciano Bossona 2013 delle Cantine Dei; un Chianti Classico Riserva 2016 di Castello della Paneretta. I primi quattro vini erano elaborati e firmati da Paolo Caciorgna; l’ultimo, il Chianti Classico Riserva, da Nicola Berti.
Non è il caso di fare un confronto tra questi cinque gioielli enologici, perché veramente ci siamo ritrovati nell’Olimpo del vino, dove ogni divinità ha avuto il suo mito da raccontare. E si è potuto constatare, con il naso e con il palato, quanto il Sangiovese di Toscana si presti alle “performance” più esaltanti.

La serata si è conclusa con la consueta gustosa cena preparata dall’oste di Cap’Alice, Mario Lombardi, nel corso della quale è risaltata una Genovese da urlo, fatta con Candele di Gragnano spezzate e Cipolle ramate di Montoro: un vero piatto super-napoletano abbinato con successo ai Sangiovese di Toscana di Paolo Caciorgna.

 

Pasquale Nusco