L’Enologo Alessio Bandinelli si racconta
Alessio da quanto tempo svolgi l’attività di enologo?
Da vent’anni. Ho iniziato lavorando in piccole aziende vitivinicole. Poi, agli inizi del duemila, non appena laureato, ho intrapreso l’attività a pieno regime.
Cosa ti ha spinto a scegliere questa professione?
Per quanto riguarda il lavoro, non ho mai avuto il sogno nel cassetto. Però mi sono sempre piaciuti i lavori attinenti all’agricoltura. Papà negli anni novanta era consigliere nazionale dell’ASI, associazione italiana sommelier, e andavamo in viaggio a visitare le cantine e le aziende vitivinicole. Di conseguenza a casa si sviluppava l’interesse per tutto ciò che riguardava il vino cui si abbinava un consumo intelligente che ti portava a fare un vero e proprio viaggio in un bicchiere. Degustando un buon bicchiere di vino, socchiudendo gli occhi mentre lo bevevi, riscoprivi gli odori e i sapori della terra da cui il vino proveniva. Attraverso quel viaggio degustativo ti veniva raccontata la storia del vino che bevevi e la storia di chi lo produceva.
Sì, ma esattamente la tua propensione a fare l’enologo da dove nasce?
Forse proprio da questa esperienza adolescenziale. Anche se non escludo che potesse esserci già qualcosa in me che si era messa inconsciamente in moto. Ad esempio dopo le medie scelsi di iscrivermi all’istituto agrario di Firenze in quanto sentivo che dovevo fare qualcosa che fosse attinente alla terra. Per quanto mi riguarda ho sempre cercato un lavoro tangibile, vero. Un lavoro attraverso cui l’uomo producesse davvero con le proprie mani. E a ciò ho sempre associato l’agricoltura!
Tu oggi sei un libero professionista, ma in passato hai lavorato come dipendente presso grosse aziende. Ci spieghi come avviene questo passaggio?
È stato un percorso: ho prima studiato a Firenze poi ho avuto l’opportunità e la fortuna di formarmi in un’importante azienda trentina che produce milioni di bottiglie all’anno dove ho fatto tutto la trafila dalla gavetta fino alla direzione tecnica. A quel punto mi son chiesto, “che si fa?”. È scattato un meccanismo per cui da otto anni mi sono rimesso in discussione per vedere se fossi capace di fare qualcosa da solo. Penso sia la mia indole che mi porta a volermi rimettere periodicamente in gioco un po’ in tutte le cose che faccio. Oggi lavoro in quattro regioni d’Italia, seguo progetti interessanti e ambiziosi, ho presentato una domanda di brevetto sulla tecnica di vinificazione con i raspi, che spero verrà accettata. Tutto ciò mi gratifica, ma soprattutto mi stimola ad andare sempre avanti.
Tu sei molto legato a Raggiolo, ciò non ti ha mai portato a dar vita a un prodotto vinicolo che avesse come richiamo il paese?
Filosoficamente sarebbe una bella scommessa… Volendo essere realisti, qui a Raggiolo non sarebbe semplice impiantare una vite da cui poi trarre vino locale. Considera che siamo sull’Appennino, un territorio dove ci sono grossi magnati del vino: Biondi Santi per il Brunello, tanto per citarne uno. Persone che hanno investito tanto sul territorio. Non escludo che lo stesso un giorno non possa accadere anche a Raggiolo. Ma sarebbe un progetto molto ambizioso che richiederebbe un tale investimento di risorse e mezzi che, al momento, reputo impossibile da realizzarsi in quanto nella zona non mi risulta ci siano imprenditori disposti a investire nella realizzazione di un’idea simile.
A proposito di ambizioni, quali sono le tua ambizioni come enologo?
Io vivo molto di soddisfazione. La riuscita di un progetto mi gratifica, mi soddisfa! L’ambizione sicuramente potrebbe essere quella di riuscire a realizzare il vino ideale. Ma fortunatamente non arriva mai, per cui sei sempre alla ricerca di nuovi orizzonti per crescere professionalmente e di riflesso anche come uomo.
Questa tua visione è comune agli artisti: ogni artista sa che la propria opera non sarà mai perfetta ma perfettibile, ossia migliorabile. In virtù di ciò, ti definiresti un artista?
Non lo so. Da tecnico della natura cerco di leggere i segnali della materia prima, di fare un’analisi della qualità delle uve prodotte nel corso degli anni e l’analisi del territorio. Tutti aspetti che mi consentono di vivere un legame profondo con la terra pur essendo appunto un tecnico.
Come sarà il vino del 2019?
È presto per dirlo. Almeno in toscana abbiamo ancora un buon mese e mezzo di attesa per fare il Sangiovese. Allo stato attuale i segnali indicano che quest’annata dovrebbe essere buona. Ma, come dico sempre, “finché non c’ho l’uva in cantina, non te lo dico!”
Vincenzo Giarritiello