In scena al teatro Mercadante, “Chi vive giace”
Chi vive giace: fantasmi in scena nell’inedita commedia di Roberto Alajmo per la regia di Armando Pugliese al Teatro Mercadante dal 29 gennaio al 3 febbraio. Le musiche dello spettacolo sono di Nicola Piovani.
Dopo il felice debutto al Teatro Biondo di Palermo arriva a Napoli al Teatro Mercadante dal 29 gennaio al 3 febbraio, Chi vive giace, testo teatrale inedito di Roberto Alajmo nella messa in scena di Armando Pugliese interpretata da David Coco, Roberta Caronia, Roberto Nobile, Stefania Blandeburgo e Claudio Zappalà. Le scene sono di Andrea Taddei, i costumi di Dora Argento, le musiche originali di Nicola Piovani, le luci di Gaetano La Mela. La produzione è del Teatro Biondo Palermo.
Chi vive giace è una black comedy incentrata su un fortuito incidente automobilistico, che innesca una querelle familiare tipicamente siciliana, dai toni surreali e dall’esito imprevedibile.
Una giovane donna perde la vita a causa della guida distratta di un ventenne. Non è colpa di nessuno, se non del caso, ma il marito della donna non se ne fa una ragione: non sa se perdonare o se vendicare, come le tante voci del quartiere popolare in cui vive gli suggeriscono. Dall’altra parte, il padre del ragazzo non sa come comportarsi, se assolvere in pieno il giovane col pretesto della fatalità o spingerlo a porgere le proprie scuse al vedovo.
A questo punto, in un contesto che sin dall’inizio ha i contorni allucinati di un certo realismo metafisico tipicamente siciliano, sono i fantasmi che bisogna interrogare. Ecco allora la moglie, mischina, e la defunta madre del ragazzo che dispensano consigli, ammoniscono, ragionano e determinano le sorti di questo dramma dei vivi e dei morti, nel quale un certo humour nero ha la funzione catartica di governare l’ordine delle cose, invertendo il senso del vecchio adagio: «Chi muore giace, chi vive si dà pace».
«Il fatto di cronaca originario – spiega l’autore Roberto Alajmo – è un pretesto per esplorare una lingua teatrale ispirata al siciliano, ma che dal dialetto mutua più lo scardinamento sintattico che la vulgata lessicale: i personaggi parlano una lingua che è inventata, tutt’altro che naturalistica, diversa sia da Martoglio sia da Scaldati. Ma c’è poi un’altra finalità, tutta morale, che riguarda i temi del rancore e del perdono, esplorati con un arsenale di ragionamenti che a tratti può sembrare pirandelliano».
«Alla prima lettura del testo di Alajmo – afferma il regista Armando Pugliese – ciò che mi ha maggiormente colpito e affascinato è stata la forma espressiva, il linguaggio. Nel senso più ampio del termine. Tanto che mi è parso di leggere musica. Che si manifestasse in parole e costruzioni sintattiche articolate in accordi o intervalli, ritmi o allitterazioni, tutto concorreva a dare voce a personaggi che si incontrano sulla scena in un contesto metafisico ed irreale, che si parlano come nei sogni, quando non si saprebbe dire se le parole sono dette o solo pensate, interiormente o ad alta voce. Costruire insieme agli attori questa sinfonia siciliana doveva essere molto intrigante, e così è stato».