Brunello di Montalcino, III appuntamento di Storie di “Vini e Vigne”
Quando si pensa al Brunello di Montalcino, vengono in mente i warrant (titoli azionari) sul vino, i futures (certificati di investimento) sulle vendemmie e alle speculazioni finanziarie che ruotano intorno ai grandi vini. Poi, se ci si appresta a incontrare un produttore di Brunello, si immagina di incontrare un “CarCarlo” aristocratico, un Marchese di “FrescoCaldo” con lo stemma multipallare.
Altrettanto, si suppone quando si conosce un magnate americano con il sigaro in bocca che ha investito nelle vigne toscane, aspettandosi grandi profitti, o un lord inglese innamorato della campagna senese, che ha acquistato terreni e filari per ritirarsi in una tenuta montalcinese.
Niente di tutto questo.
Luciano Ciolfi, produttore di Brunello nella sua azienda “Podere Sanlorenzo” di Montalcino, invitato dalla giornalista enogastronomica Marina Alaimo al terzo appuntamento di “Storie di Vini e Vigne” (che si è tenuto presso l’enosteria “Cap’Alice” in Via Giovanni Bausan a Napoli) ha un’aria semplice, bonaria e proletaria.
È perfino intimidito dal microfono nel quale deve parlare. Ma poi, stuzzicato dalle domande della Alaimo, espone con chiarezza il suo pensiero, la sua competenza e la sua passione per il vino che produce.
La giornalista curatrice della serata, ci informa di averlo scoperto alla rassegna “Benvenuto Brunello” dove il suo vino spiccava e si faceva notare, nel corso delle degustazioni, sugli altri Brunello.
Suo nonno Bramante ricevette in dono la terra nella notte di San Lorenzo, la notte in cui cadono le stelle e si esprimono i desideri. Fu per questo motivo che assegnò alla sua tenuta la denominazione di “Podere Sanlorenzo”.
Mio nonno e mio padre, racconta Luciano, coltivavano le uve per rivenderle ai produttori di vini. Io, invece, dopo aver fatto, negli anni novanta, una lunga esperienza in un’altra azienda di Montalcino, capii che il Brunello lo potevamo produrlo e imbottigliarlo noi, prosegue, esprimendosi con la sua simpatica “c” aspirata tipica dei toscani, per cui, dal 2003, siamo usciti con la prima annata, risalente alla vendemmia di cinque anni prima.
Naturalmente, come spesso accade nelle vecchie famiglie di viticultori, il nonno Bramante e il papà Paolo erano restii a questa riconversione da vignaioli semplici a vitivinicultori completi che curassero tutto il ciclo della produzione dalla vigna alla cantina, fino all’imbottigliamento e alla distribuzione.
Ma poi, sottolinea il montalcinese, visti gli ottimi risultati, i due si convinsero e aderirono con entusiasmo alla mia scelta innovativa.
E da quella rinascita, Luciano si è sempre adoperato per raggiungere l’eccellenza nei suoi vini, aprendosi e confrontandosi con il mondo anche attraverso le nuove tecnologie. “Mi sono aperto al mondo esterno anche con internet, già quando questa piattaforma comunicativa non si era ancora consolidata e diffusa come oggi”, confessa alla fine.
Alla degustazione, il produttore ha proposto sei dei suoi vini: il suo Brunello di Montalcino denominato “Bramante” come il nonno, nei risultati delle annate 2008, 2010, 2013 e 2014, il Brunello di Montalcino Riserva 2013 e il Rosso di Montalcino 2016.
Tutti vini di grande stoffa che già al naso, con il dispiegamento di un notevole bouquet olfattivo, hanno anticipato la grande qualità dei prodotti, che si è confermata al palato, rivelando una persistenza gustativa veramente sorprendente. Sontuosi e coinvolgenti sono stati il Brunello 2010 e la Riserva 2013.
La serata è proseguita con la consueta cena ideata dall’oste di Cap’Alice, Mario Lombardi, che ha entusiasmato i convenuti con uno squisitissimo sformato di broccoli verdi con salsa bianca di parmigiano, seguito da fusilli al ragù napoletano, che si sono sposati meravigliosamente con i Brunello di Ciolfi, e dagli struffoli pre-natalizi con i quali sono stati fatti gli auguri di Buone Feste.
Pasquale Nusco